Luci, inchino, sipario

Letto, si diffonda il verbo di Mr. Antoniozzi:

” Ma sì, ma perchè dobbiamo stare qui a perdere
tempo dietro ai teatri lirici, che diciamoci la verità
sono un baraccone insostenibile che ormai è imploso
e che non aspetta altro che di esplodere facendo
schizzare per tutta la città pezzi di corde vocali,
note musicali, fogli di musica, archetti, cantinelle,
praticabili e quant’altro li riempia da sempre,
insieme a carte, cartacce, documenti, ritenute
d’acconto, ruolini ENPALS e tutto l’ambaradan che
la moderna amministrazione richiede per un
efficiente funzionamento della baracca.

Ma abbiate il coraggio di dirlo che non ve ne frega
più niente, che saremmo molto più utili alla società
dietro un bancone di supermercato o a spalare
merda nelle varie Fattorie televisive o, meglio,
messi a pecora sulla Salaria per cinquanta euro a
botta salvo sconti a militari e appassionati, tanto
anche se non lo dite appare evidente lo stesso che
la volontà neanche troppo nascosta è quella di farci
chiudere baracca e burattini senza che nessuno alzi
un dito a Roma e, peggio, senza che nessuno si
assuma la responsabilità morale e materiale di
buttarci tutti in mezzo a una strada.

Coraggio, su, ditelo : della lirica non ce ne frega
un beato piffero, ooooh, lo vedete che è liberatorio?
E tanto peggio se il resto del mondo parla italiano
anche (direi principalmente) grazie a Verdi, Puccini
e compagni, se in questo esatto momento da
qualche parte del globo viene rappresentata un’opera
italiana, se ogni anno migliaia di giovani di tutto il
mondo si innamorano della nostra musica, e studiano
la nostra lingua, e cercano di cantare all’italiana, ma
chi se ne frega, ma chiudiamoli questi teatri, cazzo!

Chiudiamoli sul serio però, senza tagliare fondi con le
varie finanziarie, senza questo sgocciolio di rubinetto
sempre più esile, sempre più misero, che ci costringe
a risparmiare settanta euro di scenografia per far
quadrare il bilancio, che spinge i teatri a pagare con
quaranta-sessanta giorni di ritardo, che mette tutti
nella condizione non dico di fare sacrifici, sarebbe
il minimo, ma di indebitarsi NOI con le banche perchè lo
stato (minuscolo, minuscolo e basta) i soldi li

sgancia PER QUALUNQUE ALTRA STRONZATA ma
n
on per la lirica.

Ma chi se ne frega di questi quattro pachidermi
cerebrolesi che cantano Amami Alfredo, ma chi
cazzo è Alfredo poi? Che non si capiscono le trame,
diciamo la verità, e meno male che ci sono i
sottotitoli, ma perchè non li doppiano IN I-TA-LIA-NO
‘sti cantanti, che non si capisce perchè siano tanto
speciali, che mi significa cantare a voce piena
QUANDO CI STA IL MICROFONO!!!
Siamo nel duemilasei, ohè, sveglia!

E i coristi, e gli orchestrali, ma sarà mica un
mestiere, il lavoro fa SU-DA-RE, porca miseria,
mica è un divertimento, me lo dicono sempre i
Carabinieri quando mi fermano per un controllo,
che mestiere fa? Il cantante lirico. Vabbè, ma di
mestiere!? PETTINO LE BAMBOLE ALLA FURGA,
tutti i giorni dalle otto alle sei, perchè, che vi credete
che escono pettinate da sole dalle macchine, no no,
LE PETTINO IO, tutte io, va bene?

Chiudiamo i teatri, chiudiamoli, abbiate pietà di noi,
non manteneteci nell’illusione che gliene freghi
ancora qualcosa a qualcuno, di star facendo qualcosa
di buono, di essere capaci di toccare l’anima di chi
ascolta, ma quale anima, l’anima LA TOCCA IL PAPA
anche se quando parla sembra una delle Gemelle
Kessler (quella più cattiva) chiudiamoli ‘sti teatri,
in fondo noi possiamo sempre provare ad aprire un
bar, una tabaccheria, un tappeto su ponte santangelo,
e coi teatri facciamoci UN BEL GARAGE, che di questo
hanno bisogno le città, altro che di musica e di
cultura, la musica la fa Povia coi piccioni, la cultura
Marzullo, non scherziamo, altro che zumpappà,
e annamo, su!

FACCIAMOCI UN GARAGE multipiano, uno per città,
che meraviglia, finalmente i diciasette piani di torre
del Carlo Felice di Genova saranno utili alla comunità,
tutti potranno entrare alla Scala (e in macchina!!!),
il Petruzzelli lo ritirano su in una notte e forse allora
a Piacenza sapranno dove cazzo è il Teatro Comunale
visto che venti persone cui l’ho chiesto mi hanno
risposto boh e lo sapeva solo un ecuadoregno di
passaggio (il che rafforza la mia fede: la salvezza
verrà, forse, solo dall’immigrazione!)

FACCIAMOCI UN GARAGE!

Noi ex lavoratori dello spettacolo lirico chiediamo
solo, in cambio, un’agevolazione sui prezzi del
mensile per parcheggiare il nostro furgone della
porchetta in un posto che, in fondo, era casa nostra.”

Signori, tanto di cappello.

4 thoughts on “Luci, inchino, sipario”

  1. Lo sfogo è condivisibilissimo e anche pittoresco. La battaglia è tutta da combattere al fianco di enti lirici e similari. Però non mi piace il ricorso alla volgarità. Neanche la rabbia la giustifica mai. Nel momenti che si diventa volgari, si crea una barriera di comunicazione, si perde enormemente di efficacia, si forniscono argomenti a chi sta dall’altra parte del fronte per denigrare e limitare gli effetti du un’azione pur sacrosanta.
    Per cui, per quanto mi riguarda, niente applauso e niente cappello.

  2. Lo hanno letto a “La Barcaccia” su RadoTre mercoledì, e io l’ho sentito per caso (difficilmente sono a casa per l’ora di pranzo con il privilegio di ascoltare la radio).
    Comunque, in un sacco di ambiti si potrebbe autoesortarsi ad aprirsi un Garage… e non solo per la finanziaria.

    Sulla volgarità, se mi è permesso, mi pare una posizione che chiude molte porte.
    La volgarità, per altro, può essere infinitamente peggiore di questa pur senza turpiloquio.
    Non è volgare ed imbarazzante lo stato in cui versa la cultura nel nostro paese?
    Insomma, indignarsi davanti a qualche più che efficace “parolaccia” mi pare da “signora bene” che storce il naso… infatti quelli della barcaccia, a volte così pesantemente volgari nella loro critica, si autocensuravano nel leggerlo… quanto sono “signore bene dall lingua avvelenata” quei due nessuno! 🙂

  3. Indignarsi è roba sa “signore bene”. Ma io non mi sono indigato, ho fatto una riflessione logica, basata su argomenti. Anch’io talvolta dico le parolacce, e racconto anche le barzellette zzozze, ma trovo controproducente usare la volgarità come strumento di comunicazione premeditato. Mi sembra un segno della decadenza dei nostri tempi.

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